3vitrelogo

Enzo Minarelli
Amo un racconto
Editore Campanotto, Udine, 2012

"Le donne sono gli dei, le donne sono la vita, le donne sono l’ornamento del pensiero, siate sempre in mezzo alle donne", parola di Buddha.

"Amore è detto da 'amo' verbo, il quale significa pigliare o essere preso, però che quelli ch’ama si è preso di catene d’amore e altrui vuole prendere col suo amo", De Amore di Andrea Cappellano.

Il racconto si dipana attraverso le vicende legate ad una coppia di giovani, lui, Leonardo, ex-studente, squattrinato col pallino della musica sperimentale, lei, Esterina, studentessa indipendente, disinibita, raffinata, amante della buona cultura, che al calare del secolo scorso, s’innamorano; per una serie contingente di ragioni, i loro incontri amorosi, avvengono solo ed esclusivamente in automobile.
Il lettore deve immaginarsi un’auto ferma in qualche sperduto posto della Pianura Padana, al suo interno due giovani che comprimono in quell’angusto abitacolo il dirompente gaudio del loro amore, una pentola a pressione dove si concentrano dialoghi, amplessi, scontri, violenze, alterchi, tenerezze, riconciliazioni, la vita stessa seduti o distesi dentro la scocca di un’automobile parcheggiata lungo viottoli di aperta campagna.

Diviene l’involucro del veicolo una specie di segreto rifugio dal mondo esterno, un’alcova viaggiante racchiusa da una corazza come se le sue lamiere carenate potessero proteggerli dal flusso minaccioso, incalzante degli eventi umani, e preservare quell’ingenuità adolescenziale contro le sempre più opprimenti pressioni sociali, rappresentate nel racconto, dal terzo incomodo, l’anonimo e ignoto guardone, sempre pronto a piazzarsi nel posto giusto, non visto, per carpire l’intimità dei due giovani, ignari di essere spiati.

In fondo la loro non è altro che una berlina di seconda mano, "pulita dentro e sporca fuori", eppure sembra un’oasi incontaminata rispetto all’inquinamento prodotto dal genere umano, una zona privilegiata per appartarsi lontano da una società barbara e invadente, un’allegoria di freschezza e di verginità vitale, valori forse smarriti per sempre.
Se l’auto è il luogo prescelto per la sopravvivenza, aspettiamoci allora che qui succeda di tutto, è teatro di incontri ad alto tasso erotico, di discussioni intellettuali, di memorabili litigi, in una serie di vicende stucchevoli sullo sfondo di un’attonita disillusa pianura emiliana, fino al climax finale preceduto da una imprevista suspense sulla sorte di Leonardo.

***


Lesa sul Lago Maggiore, 7 agosto 2012

      Caro Enzo,
sto leggendo il tuo racconto Amo. Le tue istruzioni (riportate da un doppio, a sua volta riprese dall’effettivo protagonista) sull’esercizio della copula in una automobile di media cilindrata, condotta e posteggiata fuori città (possibilmente al sicuro da sadiche rapine). Non si può dire, come si diceva un tempo, che si tratti di un libro adatto alle educande, anche se oggi le educande, le fanciulle in fiore, o già sbocciate che siano, non appaiano così pudiche, meglio ipocrite, come credono ancora (ma non lo credono veramente) i padri, anzi le madri, della mia generazione. Oggi, per esperienza diretta, per sondaggio statistico o per sapienza psicoanalitica conosciamo tutto delle loro disinibite voglie e delle loro pratiche predisposizioni sovente apertamente manifestate.
      Ma c’è qualcosa da dire anche sui maschietti, o maschioni che trovano un rappresentate appropriato nel suddetto protagonista: le cui schiette e cordiali, a volte tuttavia del tutto gratuite scurrilità, sarebbero insopportabili se non fossero sorrette dalla acuta e ironica analisi del narratore, a loro volta ben impastate con la efficace capacità letteraria e analitica dell’autore (che poi saresti tu). A proposito del ... merlo maschio di questa storia va osservato che in sostanza appare schiavo, senza capacità di effettiva autonoma reazione, delle folli voglie offerte dalla (comunque sicuramente più intelligente) insaziabile femminuccia. Qui si giustifica il turpiloquio ricercato dei giovani d’oggi che, più o meno consci della loro inferiorità rispetto alla femmina, usano anche senza necessità l’arma della parolaccia ... per impressionare meglio la partner! La quale per altro non sembra, quasi mai, colpita, in proposito, più di tanto.
      Per inciso potremmo osservare anche che la tua narrazione risponde a classiche modalità, quali i rapporti fra protagonista-narratore-autore. Ma le ragioni stilistico-retorico-creative, fra ipotesi di verità, autobiografia e invenzione, sono già state infinite volte elaborate dalla critica stilistica: in particolare per un campione assoluto di queste medesime ambiguità, Marcel Proust.
      C’è poi, a sostegno colto delle tue audacie scrittorie, una straordinaria tradizione letteraria: lasciamo stare i latini, ma andiamo pure dal Boccaccio all’Aretino, al Divino Marchese e a Masoch, dai Surrealisti agli scrittori On the road ..., a Nabokov ... a Céline ... Per non dire del Kamasutra, poiché le modalità copulatorie nel costretto abitacolo di una automobile di media cilindrata richiedono non facili contorsioni fisiche. Talvolta, forse, gli altri classici nominati, sono, verbalmente, un po’ più metaforicamente discreti rispetto alla tua icastica sincerità - pregio raro proprio questo, tuttavia, della tua narrazione, in cui non mancano puranche le problematiche feticistiche (la vettura stessa e i suoi accessori, le mutandine, gli anticoncezionali, i resti di pasti campestri intramezzati da continue maniacali riprese erotiche, ecc.). Insomma tutto quello che pochi ormai non sanno, ma avrebbero comunque voluto sapere prima sul sesso ... in automobile !
      Ma non manca, a movimentare una narrazione che potrebbe apparire ad un certo punto ossessivamente ripetitiva, perciò stancante per il lettore non più incuriosito poiché ormai sa tutto, l’invenzione descritta in maniera raffinata di un deuteragonista: il voyeur, quello che quasi ... professionalmente insegue comunque e ovunque le coppiette copulanti in automobile, ma che nella sua azione guerrigliera 'mordi e fuggi' "rimane bloccato in ogni caso, la sua curiosità stagna, non procede, non porta al naturale sbocco della copula, troppo impegnativo, rischierebbe brucianti catastrofi. Ecco perché si ferma, si stoppa, appunto, e non desidera altro che guardare. Solo per guardare, richiede un bel po’ di fatica: individuare i posti migliori, quelli che presentano le già ricordate tracce sul terreno, memorizzare le ore giuste, avere molta pazienza, appostarsi e mimetizzarsi, essere abili nel non farsi scoprire ... L’autentico capolavoro di uno stupratore visivo consiste nel violare non visto, l’intimità altrui, esserne in qualche modo compartecipe ...".
      Allora si apre un nuovo capitolo delle utilissime istruzioni per il copulante d’automobile: come guardarsi dal guardone ! Splendida svolta narrativa! C’è l’inatteso conflitto, e quel páthos di cui parla il linguista Frye! Ma chi è il guardone, se non la società opprimente che soffoca sesso, amore, intimità, vita ?
      In quarta di copertina leggo alcune espressioni che ritengo inutile da parte mia parafrasare, tanto sono esaustive ai fini di un metasignificato etico, sociale, libertario: "l’involucro del veicolo ... un segreto rifugio dal mondo esterno ... minaccioso, incalzante ... la berlina di seconda mano un’oasi incontaminata rispetto all’inquinamento collettivo ... l’appartarsi da una società barbara e invadente ... un’allegoria di freschezza e di verginità vitale ...".
      In cui, per altro, tra l’ossessione erotica della coppia protagonista si insinua la volontà di conoscere, conoscendosi: perché i protagonisti sono puranche (la femmina forse di più) dei non volgari creativi, o artisti tout court, a riprova della loro impellente necessità totalizzante di vita.
      Ma arriverà il momento che la berlina usata, alcova viaggiante la chiama il protagonista, dovrà essere venduta per pochi soldi ... E un mondo di sesso come vita s’andrà spegnendo nel traffico impraticabile, come sempre.
      Caro Enzo, che altro dirti ? Una coinvolgente storia, che va ben al di là di ogni facile, seppure ironico, erotismo.
Ciao.

Giò Ferri

la bandiera